Lettera 181

LETTERA 181 DICEMBRE - FEBBRAIO 2015

Editoriale:

L’amore esigente che ci fa crescere

Autore:

P. Francesco Saverio Colonna - Consigliere spirituale di Equipe Italia

 Visualizza Podcast 
Scarica Lettera

“Il tuo amore senza pretese m’indebolisce;
la tua esigenza senza amore mi ripugna; 
la tua pretesa senza pazienza mi scoraggia; 
il tuo amore esigente mi fa crescere” 
Henri Caffarel

Un dibattito si è acceso in questi ultimi anni nel mondo della psichiatria a proposito del “narcisismo”. In vista della nuova edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (strumento per la diagnosi dei disturbi psicologici usato da psichiatri e psicologi di tutto il mondo) era stato proposto di abolire la voce “narcisismo” dall’elenco dei disturbi mentali. Varie erano le ragioni che spingevano in questa direzione: da una parte le difficoltà nel delineare dei chiari criteri scientifici per la diagnosi, dall’altra anche le pressioni delle compagnie assicurative americane mosse da ragioni economiche, ma alla base c’era l’idea che il “narcisismo” può essere considerato una scelta di vita e non una patologia. Nella nuova edizione, il DSM-5, è rimasto il riferimento al narcisismo come disturbo di personalità, ma il dibattito non si è chiuso. Dietro di esso infatti si nasconde un problema più grande che supera i confini della psichiatria e apre questioni antropologiche. Otto Kernberg nella lectio magistralis tenuta su questo argomento all’Università Milano-Bicocca sabato 28 gennaio 2012 ha affermato apertamente: “Lasciatemi dire che il sistema di classificazione americano finge di essere un sistema scientifico, ma in realtà non lo è, è un sistema politico e riflette l’impegno ideologico dell’American Psychiatric Association”.
Da tutto questo dibattito mi sembra che emerga una verità molto importante per noi: il narcisismo è qualcosa di più di una patologia psicologica perché esso tocca più lo spirito che la psiche dell’uomo. E se la psichiatria affermasse che il narcisismo non appartiene al suo campo di azione, non sarebbe, da questo punto di vista, un errore ma il riconoscimento implicito della necessità di una comprensione dell’uomo più ampia che consideri anche la sua componente spirituale ed esistenziale. 
Il narcisismo è definito come “tendenza e atteggiamento psicologico di chi fa di sé stesso, della propria persona, delle proprie qualità fisiche e intellettuali, il centro esclusivo e preminente del proprio interesse e l'oggetto di una compiaciuta ammirazione, mentre resta più o meno indifferente agli altri, di cui ignora o disprezza il valore e le opere” (da treccani.it). In questo senso la scelta di “vivere per se stessi” va certamente al di là degli aspetti psicopatologici. Il paradosso è che anche chi avesse fatto il miglior training di psicoterapia e avesse una buona struttura di personalità potrebbe scegliere di essere narcisista. In parole povere possiamo affermare che una persona con una sana psicologia può scegliere di essere un meraviglioso missionario oppure un ottimo terrorista, un medico ben capace di relazionarsi con i suoi pazienti o un mafioso abile nel gestire traffici illeciti e omicidi mirati, un coniuge che vive bene la sua fedeltà al proprio partner oppure che gestisce altrettanto bene le sue esperienze extraconiugali.  
Anche il vivere da “single”, quando è una deliberata scelta di vita, può essere segno di un orientamento narcisistico. Quello del “single” è diventato un modo di vivere peculiare dei nostri giorni. Noi utilizziamo un termine inglese poiché nella lingua italiana non abbiamo neanche la parola per dirlo, tanto questa dimensione era impensabile fino pochi decenni fa. Un indice della sua diffusione sono le varie proposte “per single” che pullulano su internet. 
Il fenomeno “single” è complesso e ha varie cause, ma certamente è figlio della marcata attenzione che il pensiero contemporaneo dà all’individuo. La società dei consumi incoraggia la vita da single perché le persone che vivono sole consumano molti più beni che se vivessero insieme. Anche le psicoterapie, più o meno implicitamente, possono essere veicolo di trasmissione di questa concezione della vita basata sulla centralità dell'individuo e sulla positività della vita da single. E’ facile che una psicoterapia possa incoraggiare un giovane ad andare a vivere da solo distaccandosi dai genitori così come è statisticamente dimostrato che tra i coniugi che fanno psicoterapia è più alta la percentuale di separazioni. Molti single vorrebbero tanto condividere la loro vita con qualcuno ma non possono perché costretti dalle circostanze della vita. Per altri invece vivere da single è proprio una scelta di vita cioè, in modo più o meno consapevole, decidono di non condividere la propria vita con nessuno, decidono di non donare la loro vita a nessuno. Se poi il narcisismo è l’atteggiamento di chi fa di sé stesso il centro esclusivo del proprio interesse e resta indifferente agli altri, allora il single più coerente è proprio colui che fa a meno anche di Dio.
Il problema non è dunque primariamente di natura psicologica, ma antropologica e filosofica. Quale visione di "uomo" abbiamo nella testa? Perché così tante persone giungono alla conclusione che è meglio vivere da soli? Perché alcuni non hanno più il gusto di una vita condivisa? Perché nella nostra società molte persone, anche vivendo insieme ad altri, assumono un atteggiamento individualistico e narcisistico?
Non c’è nulla di più lontano dal vangelo che il fuggire dalla comunione e il ripiegarsi su se stesso. L’egoismo e la superbia sono i più temibili vizi capitali. Il culto di sé è lo sfondo di ogni atteggiamento idolatrico ampiamente condannato da tutta la rivelazione biblica che invece raggiunge il culmine quando afferma “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso” (Lc 10,27) e “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). Nel pensiero cristiano al centro non sta “l'individuo”, ma “la persona" che è vista sempre in relazione a Dio e agli altri. Una società fondata sull'individuo chiuso in se stesso non ha futuro ed implode. Una società fondata sulla persona che è in relazione con gli altri ed è aperta alla trascendenza esplode in creatività e in vitalità. Se si elimina Dio dal nostro orizzonte è più facile cadere nella autoreferenzialità. Più si nega il trascendente e meno si è capaci di uscire da se stessi. Meno si pratica l’ascolto e la meditazione della Parola, maggiore è il rischio di diventare narcisisti.
Il ripiegamento narcisistico dell'individuo si riflette poi nella chiusura e nell'isolamento della coppia. Anche le coppie, infatti, se eccessivamente distanti da 
familiari e amici e non orientate verso Dio, rischiano la morte per asfissia. Se è vero che talvolta la mancanza di confini con le famiglie di origine crea problemi nella vita di coppia è altrettanto vero che relazioni superficiali ed effimere o quasi totalmente assenti non facilitano l'unità della coppia, anzi la minano profondamente. Forse anche in questo senso va cercata la spiegazione del perché non di rado si avverte un forte bisogno di cercare nuovi "legami" attraverso i social network. E tuttavia questi legami possono essere ancora funzionali a una visione individualistica e non sono di aiuto, anzi spesso diventano una pericolosa fuga dalla vita di coppia.  
Occorre invece riscoprire il valore di relazioni stabili, esigenti e impregnate di fede con familiari e amici. Occorre un vigoroso slancio teologale che trasfiguri tutta la nostra esistenza e le nostre relazioni invece di limitarci al mero livello dello sforzo morale. Occorre riscoprire il valore della preghiera in famiglia e la funzione vitale della domenica come giorno del Signore. Occorre gustare la bellezza di scoprirci “figli” amati dal Padre in Gesù nello Spirito Santo. Per dirla con le note parole profetiche di Karl Rahner: «I cristiani del domani o saranno dei mistici o non saranno». Occorre riscoprire la dimensione ecclesiale delle nostre case. Sono esse davvero dei templi dove dimora lo Spirito Santo, dei laboratori di speranza e di amore, dei luoghi in cui si sceglie quotidianamente di “donarsi l’uno all’altro per donarsi insieme” secondo il motto di Caffarel. Un amore così è estremamente esigente e comporta un uscire costantemente da se stessi per entrare nel mondo interiore dell’altro così diverso dal mio. Tutto ciò richiede un vero e proprio morire come ben diceva don Tonino Bello: “amare, voce del verbo morire”. Non c’è un “io debole” alla base di questo amore. Al contrario occorre un “io forte”, molto forte, per giungere a decidere di amare l’altro fino a morire per lui. Così perdonare non è segno di debolezza, soffrire per l’altro non è masochismo. 
Se in passato si correva facilmente l’errore di confondere un problema psicologico con una dimensione spirituale, oggi è più frequente l’errore contrario. Così delle realtà spirituali vengono spesso interpretate in chiave psicologica. Anche noi preti forse in maniera affrettata inviamo dagli psicologi delle coppie in crisi omettendo di fare una diagnosi spirituale. Se il problema di una coppia scaturisce per esempio da un disturbo paranoico di personalità è chiaro che occorre il contributo di uno psichiatra che può prescrivere una opportuna terapia farmacologica ed eventualmente una psicoterapia. Ma se la crisi di coppia è provocata dalla narcisistica ricerca di sé (che può manifestarsi nell’infedeltà o nell’essere troppo dediti alla carriera così da trascurare coniuge e figli) allora forse è la dimensione spirituale che va curata. La vita di coppia non è resa sana solo da una corretta alimentazione, da un adeguato esercizio fisico e da una buona igiene mentale. Non è sufficiente neanche aver acquisito delle brillanti competenze comunicative. Padre Caffarel ha speso tutta la vita per insegnare alle coppie quanto sia fondamentale un serio impegno ascetico per il benessere globale della coppia. 
Walter Kasper nella relazione voluta da papa Francesco per il Concistoro straordinario dei cardinali in preparazione ai due sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015 afferma che "a causa delle condizioni della vita attuale ostili alla famiglia, la famiglia nucleare moderna si trova in difficoltà. (...) Le Chiese domestiche possono essere una risposta. (...) Abbiamo bisogno di grandi famiglie di nuovo genere. Perché le famiglie nucleari possano sopravvivere, devono essere inserite in una coesione familiare che attraversa le generazioni, nella quale soprattutto le nonne e i nonni svolgano un ruolo importante, in cerchie interfamiliari di vicini ed amici, dove i bambini possano avere un rifugio in assenza dei genitori e gli anziani soli, i divorziati e i genitori soli possano trovare una sorta di casa. Le comunità spirituali costituiscono spesso l'ambito e il clima spirituale per le comunità familiari” (Il vangelo della famiglia, Queriniana, p. 37). Un tale stile di vita familiare costituisce una preziosa risorsa per sostenere le famiglie provate dalle conseguenze della crisi economica di questi anni e anche per questa ragione andrebbe maggiormente proposto. 
Le Equipe Nôtre Dame possono essere germe di queste “comunità spirituali” tanto necessarie agli uomini e alle donne del nostro tempo. Noi preti e laici chiamati a vivere in equipe abbiamo ricevuto il dono meraviglioso della comunione che ci permette di vincere il narcisismo sempre latente in noi e oggi forse più diffuso che mai. Questo dono prezioso non dobbiamo tenerlo per noi. Le Equipe Nôtre Dame sono una luce che non deve essere posta sotto il moggio, sono un talento che non deve essere sotterrato anzi deve essere trafficato e offerto a quante più coppie e preti possibile. La vita in equipe è agli antipodi del narcisismo e dell’individualismo perché stimola in tutti quell’amore esigente che ci fa crescere.

P. Francesco Saverio Colonna
Consigliere spirituale di Equipe Italia