LETTERA 180 OTOBRE - NOVEMBRE 2014
Editoriale:
Le "questioni della vita"
Autore:
Marcella e Sergio Gentile - Coppia Responsabile Regione Nord Ovest A
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Narra una leggenda che due amici viaggiavano nel deserto. Ad un certo punto del viaggio, mentre stavano discutendo, uno diede uno schiaffo all'altro. Questo, offeso, senza dire nulla, scrisse sulla sabbia: ”Oggi, il mio migliore amico mi ha dato uno schiaffo sul viso”. Proseguirono ed arrivarono ad un’oasi dove decisero di lavarsi. Quello che era stato schiaffeggiato stava rischiando di annegare e lo salvò il suo amico. Quando si fu ripreso dallo spavento, prese uno stiletto e scrisse su di una pietra: ”Oggi, il mio migliore amico mi ha salvato la vita”. Stupito, l’amico domandò: ”Perché dopo che ti diedi uno schiaffo scrivesti sulla sabbia ed ora invece scrivi su di una pietra?”. Sorridendo, l’altro amico rispose: ”Quando un amico ci offende, dobbiamo scrivere sulla sabbia, perché il vento della dimenticanza e del perdono si incaricheranno di cancellare tutto quanto vi è scritto. Ma quando un amico ci aiuta, dobbiamo registrarlo sulla pietra della memoria del cuore, dove nessun vento potrà cancellarlo.
Le “questioni della vita” spesso incrociano le nostre esistenze anche nel profondo e, senza tanti preamboli, ci chiedono delle risposte, delle scelte, degli atteggiamenti. Il più delle volte siamo impreparati e l’ansia ci attanaglia impedendoci di fare la cosa giusta. Questo vale in ogni ambito della vita ma, soprattutto pensiamo, nei nostri rapporti con gli altri e con Dio.
Vale anche per i due protagonisti del racconto.
Una discussione, magari accesa, e nella foga del “ho ragione io e solo io e tu non capisci” vola uno schiaffo, un insulto, un atteggiamento di disprezzo e di superiorità; l’altra persona diventa un nemico, un qualcosa di diverso che tenta di incrina-re le mie sicurezze. Non sono più in grado di distinguere tra l’attimo di rabbia e la bellezza di un rapporto che dura magari da una vita. Per soddisfare il mio orgoglio ferito sono disposto anche a mandare a gambe all’aria quello che ho costruito in anni di confidenze e di complicità.
In questi frangenti siamo tutti appesi ad un filo.
Un debole filo che rischia di spezzarsi se qualcuno non prende una decisione improvvisa, controcorrente, pazza: la pazienza.
reagire con la stessa violenza, con lo stesso astio, invece decido di attendi accoglierti comunque; faccio spazio a te comunque nel mio cuore e continuo a camminare con te. Decido di perdonare perché solo così ti permetto di ricominciare, ho fiducia in te e capisco che gli sbagli oggi sono tuoi ma domani potrebbero essere miei, ti do un’altra opportunità consapevole che domani verrà offerta anche a me.
La nostra vita di coppia in questi trent’anni di matrimonio non è forse stata sempre un continuo attendersi, accogliersi, perdonarsi, offrirsi vicendevolmente un posto caldo in cui rifugiarsi e ritrovare la gioia di una alleanza, di un ricominciare sempre da capo dandoci credito a vicenda?
Riprendere quindi il cammino fidandoci l’un dell’altro, come i protagonisti del racconto, fino al momento in cui la tua vicinanza è talmente profonda che le mie crisi sono le tue crisi, i miei momenti bui sono i tuoi momenti bui, le mie ansie sono le tue ansie, le mie lacrime sono le tue lacrime e io posso scrivere “sulla pietra della memoria del cuore dove nessun vento potrà cancellarlo”: grazie che ci sei!
Quando ci si incammina insieme sul sentiero della vita alcuni “atteggiamenti” devono far parte del bagaglio contenuto nella nostra bisaccia di pellegrini: mera-viglia, pazienza, ascolto, gratitudine, umiltà.
Il Signore è il nostro compagno di viaggio; non cammina né davanti né dietro ma accanto ed è Lui che ci aiuta a sviluppare e donare agli altri questi “atteggiamenti”. La meraviglia nello scoprire o rivalutare gli aspetti positivi che mio marito/moglie riesce ad esprimere. La meraviglia nell’ammirare i doni del creato che Dio ci ha messo a disposizione; è nostra responsabilità averne cura per i nostri figli.
La pazienza dell’ascolto e della continua ricerca come atteggiamento di vita.
Un colloquio con una delle nostre figlie, qualche sera fa, su un suo incontro avuto con un conoscente che sta iniziando il percorso, doloroso e pieno di incognite, per cambiare sesso, ci ha costretto a riflettere lungamente e faticosamente su quanto siamo disposti a capire ed accettare le persone diverse da noi al di là dei muri e delle consuetudini. A volte non condividiamo le idee dei nostri figli, non dobbiamo però fermarci alle divergenze ma considerare soprattutto l’opportunità che ci offrono nel motivare continuamente le nostre certezze e nel rivedere i nostri luoghi comuni. Li sappiamo ringraziare quando ci stimolano e ci provocano a riflettere o ci sollecitano ad essere coerenti?
La gratitudine verso i doni che, quotidianamente, riceviamo dagli altri attraverso una parola buona, un sorriso o un aiuto concreto e che a volte non apprezziamo abbastanza.
La gratitudine verso la nostra équipe di base, luogo di confronto e di compartecipazione delle “questioni della vita” a volte dure e faticose, a volte gioiose e, perché no, divertenti.
La gratitudine verso la Chiesa e Dio che ci offrono gli strumenti per la nostra crescita spirituale.
L’umiltà nel sapersi sempre riconoscere bisognosi degli altri e di Dio perché non bastiamo a noi stessi, siamo piccoli e imperfetti.
Per usare questi strumenti è necessario un allenamento che nasce da un rapporto costante e profondo con Dio, da una preghiera che non si limita alle richieste di aiuto ma va oltre, in profondità, per riconoscere quanti e quali sono quotidiana-mente i doni che Dio ci offre attraverso il rapporto con gli altri. È la Parola di Dio che ci insegna come maturare un vero atteggiamento di gratitudine.
Certo, quando la vita ci costringe a confrontarci con il dolore, la sofferenza, è molto difficile ringraziare! Le difficoltà, anche se vorremmo farne a meno, prima o poi arrivano e ci costringono a confrontarci con i nostri limiti, con le nostre ansie; ci stimolano, nella ricerca di un senso, a cercare il sostegno degli altri e di Dio. Occorre però allenarsi prima, quando la vita scorre serena, occorre affidarsi, con -vinti che Lui interviene a curare le nostre ferite.
La sera del giorno in cui, poco tempo fa, abbiamo seppellito il papà di Sergio, un’amica ci ha portato, inattesa, un pezzo di bollito per cena (ci raccontava che si tratta di una antica usanza senegalese; la famiglia colpita dal dolore del lutto riceve la “compassione” dei vicini che si preoccupano delle prime necessità). Un gesto semplice, quindi, ma antico, per farci sentire la sua vicinanza! In quell’occasione triste abbiamo percepito la mano di Dio che ci accarezzava attraverso di lei. Ringraziamo il Signore perché non siamo soli, Lui si fa presente a volte in modi impensati!