LETTERA 177 MARZO - APRILE 2014

LETTERA 177 MARZO - APRILE 2014

Editoriale:

DALL'AVVENTO ALLA QUARESIMA

Autore:

Paola e Carlo Vallarino - Responsabili Regione Nord Ovest B

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E' Avvento! Quando leggerete questo editoriale le giornate saranno già un po’ più lunghe e il sole sarà già un po’ più caldo. Ma ora, per noi che scriviamo, è quel periodo speciale dell’anno sospeso tra l’attesa di Gesù che a forza vuole ancora oggi nascere nei nostri cuori e tutto il resto che ci porta via dall’attesa: la ricerca del rega-lo giusto per i nostri cari e i nostri amici, la malinconia che leggera penetra nel cuore ripensando ai natali passati quando la “magica atmosfera” rendeva tutto più dolce, le preoccupazioni per una vita che diventa sempre più complicata e difficile, le no -tizie che ci arrivano di “altri Natali” che non saranno come il nostro perché vissuti in terra straniera o senza lavoro per una crisi che non riusciamo neppure a capire .Tutto questo sta affollando la nostra mente e il nostro cuore.

La nostra amica Chiara
È il primo di dicembre. Chiara è una nostra coéquipier, è una nostra amica da sempre, è la madrina della nostra figlia più grande. Quest’anno ha deciso di condividere con noi il calendario dell’avvento che come ogni anno ha preparato per sua figlia Virginia: ventiquattro piccole tasche di panno lenci che contengono ognuna un cioccolatino e un bigliettino preparato da lei con frasi, storie, inviti ad ascoltare canzoni, a guardare filmati e a… riflettere.
Aprire il foglietto del calendario diventa subito un appuntamento fisso per tutta la famiglia. Il foglietto del 4 dicembre recita: “Ascoltate la canzone Luce di Fiorella Mannoia!”.
“Non c’è figlio che non sia mio figlio Né ferita di cui non senta il dolore 
Non c’è terra che non sia la mia terra E non c’è vita che non meriti amore”
Quante volte i versi di una canzone ascoltati in un momento particolare della nostra vita ci hanno colpito, ci hanno fatto pensare, ci hanno “disturbato” o forse meglio “scomodato” dalle nostre “comode” case, dalle nostre “comode” sicurezze, dalle nostre “comode” indifferenze.  Questa volta per noi sono state proprio le parole di Fiorella Mannoia.
Queste parole ci sono entrate dentro, ci hanno fatto male, ci hanno fatto capire le nostre “criticità”, ma queste stesse parole ci hanno riportato a volti, incontri, emozioni, letture…Che bello! Il Signore è fantastico, usa proprio tutte le strade per darci l’opportunità di seguirlo, però… però è comunque difficile.

Lunedì pomeriggio
Al centro d’ascolto della Caritas ho incontrato Lindita, una ragazzina albanese che frequenta il primo anno di liceo linguistico, tanta voglia di studiare, tanta voglia di poter dire al mondo “ci sono, voglio vivere, voglio cambiare…”. Ma la povertà estrema minaccia il suo sogno, il suo desiderio di riscatto; in quel momento ciò che le manca sono solo due vocabolari, cosa ci vuole? Un po’ di tam tam tra i nostri amici e tutto si risolve.
Lunedì scorso l’ho incontrata di nuovo e le ho consegnato i due “preziosi” vocabolari. Grazie, mi dice! Un grazie con occhi lucidi che brillano di gioia e andandosene con i due libri sotto il braccio mi fa augurio speciale: “Buon Natale Paola, intanto - mi dice lei mussulmana - il mio Dio e il tuo Dio sono lo stesso Dio che ci ama!”E allora sì: “Non c’è figlio che non sia mio figlio ”!
Certo il Signore non ci chiede scorciatoie, ci fa fare tornanti lunghi e spesso faticosi che durano tutta una vita, ma sempre ti fa trovare un pozzo sicuro presso il quale sostare e trovare l’acqua che ti disseta.
Il mio Dio è il tuo Dio…queste parole ci risuonano nelle orecchie. È un Dio che ci ama, è un Dio che ci aiuta, è un Dio che più volte ci dice “Non temete”, “Non abbiate paura”, è quel Dio che noi cristiani stiamo aspettando che nasca anche lui nella povertà estrema. Allora lasciamoci amare da Lui per poter avere poi la forza, il coraggio, la costanza per poter amare ogni nostro fratello con le sue ferite e di qualsiasi terra sia.
Per noi il grande ostacolo è il pensare di farcela da soli, di essere autosufficienti, è la difficoltà di sentire nel profondo del nostro cuore che solo lasciandoci amare dal Signore riusciremo a risalire i nostri tornanti.

I care
È tornato alla mente all’improvviso: “Devo insegnare…come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I care“. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. Me ne importa, mi sta a cuore”. (Don L. Milani – Lettera ai giudici). “I care” è il contrario dell’indifferenza.  Don Milani dirà poi che è il contrario di “Me ne frego”… ma erano altri tempi! “I care” vuol dire avere a cuore tutto, occuparsi di tutto e di tutti. È quello che insegna-va nella sua scuola ormai quasi cinquant’anni fa, ma è ancora un messaggio attuale di cui abbiamo tanto bisogno per noi e per i nostri ragazzi ancora oggi. Tutto ci interessa, tutto ci appartiene, di tutto siamo responsabili perché tutto ci è stato donato, perché ogni essere umano è nostro fratello.
Aspettare Gesù che nasce deve diventare qualcosa di concreto: che senso ha andare alla capanna quando su un’isola poco lontano da noi teniamo dei nostri fratelli rin-chiusi in campi in condizioni disumane? Si “teniamo”, non “tengono”, è la nostra indifferenza, la nostra superficialità, la nostra distrazione a tenerli li. Li tiene lì il nostro torpore dal quale ci svegliamo solo quando accade qualcosa di grave. Invece quelle vite quelle sofferenze ci appartengono, ci interessano, devono stare nei nostri cuori: “Non c’è dolore che non sia il mio dolore”.
Quest’anno la giornata di settore, proprio prima dell’Avvento, ha affrontato il tema dell’immigrazione collegandolo al tema della speranza. Collegamento ardito! Dov’è la speranza in quei viaggi disperati? Che speranza diamo noi cristiani? Qui si ritrova il senso dell’andare alla capanna: è là che nasce non solo la nostra speranza, ma la speranza dell’umanità intera! È là il posto dove possiamo scaldare il nostro cuore per riprendere il nostro cammino incontro ai fratelli. È là, davanti a Gesù che nasce, che possiamo capire che tutto ci appartiene e tutto “ci interessa”!

Convivialità delle differenze
Quante mail e, per i più tecnologici, quanti post, tweet riceviamo! Quante occasioni di riflessione di approfondimento della nostra fede ci vengono offerti in questo periodo! Una riflessione ricevuta in questi giorni, che prendeva spunto dal sogno di Don Tonino Bello di “passare dalla cultura dell’indifferenza alla convivialità del-le differenze”, ci ha portato a riflettere sul senso della nostra testimonianza in un mondo che sembra sempre più voltare la spalle a Dio. Un mondo che, per rifarci all’immagine biblica che guida il piano editoriale, non porta più Gesù sulla sua barca.  Ma  proprio  in  questo  mondo,  anche  se  ormai  minoranza,  siamo  chiamati comunque a costruire il Regno di Dio. Siamo chiamati ad andare incontro a realtà che ci appaiono così diverse dalla nostra, molto spesso indifferenti, a volte ostili e ci viene chiesto di uscire delle nostre certezze per confrontarci con gli altri là dove essi vivono, gioiscono, soffrono. Papa Francesco ci invita a camminare, ad andare “nelle periferie” reali e simboliche dove gli uomini vivono in modo differente dal nostro, dove la speranza sembra essere svanita dal cuore dell’uomo, dove Dio sembra essere dimenticato.
È in questa realtà che ci sentiamo chiamati a costruire la Città nuova insieme agli “altri”, senza l’arroganza di chi pensa di avere la verità, ma con l’umiltà di chi sa di avere una briciola di verità da condividere con le verità degli altri per costruire un mondo migliore: la convivialità delle differenze! “Non c’è terra che non sia la mia terra. Non c’è vita che non meriti amore”!
Di fronte a questo compito noi, come singoli e come coppia, ci troviamo spesso spersi; ne capiamo l’importanza e l’urgenza, ma tutti i giorni facciamo i conti con le nostre debolezze, i nostri limiti, la nostra incapacità di lasciare il solido terreno delle nostre certezze, di allontanarci del nostro “cortile” fatto di relazioni sicure, gratificanti, fatto dal nostro mondo conosciuto.
Ci vengono in soccorso allora le parole che abbiamo ascoltato da Mons. Russotto vescovo di Caltanissetta l’estate scorsa in un incontro di Ėquipe Italia:“… se la differenza diventa relazione, in cui io vivo un po’ meno l’io e declino un po’ di più il noi, allora questa relazione esplode, perché cambia il mio essere donna, il mio essere uomo, il nostro essere famiglia, il nostro essere genitori, cambia, cambia la società, cambia la Chiesa …”.   Vogliamo allora, in questo Avvento, ripartire dalle nostre relazioni, dal nostro essere coppia, essere famiglia, essere équipe certi che è lì che iniziamo a sperimentare la differenza ed è lì che uscendo dall’io riusciremo a coniugare un noi che riuscirà ad uscire ed ad andare incontro all’altro con un cuore nuovo dovunque esso sia.
E intanto aspettiamo con cuore nuovo il “totalmente altro”!