LETTERA 174 Luglio - Settembre 2013
Editoriale:
I SEGNI DELL'ARIA Un ricordo lontano, un dolce, tenero ricordo.
Autore:
Francesca e Mimmo Magli - Coppia responsabile regione SudEst
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Un vecchio e un bambino vicini, un tramonto di fine estate, l’aria ancora tiepida, la campagna pugliese, i trulli, le nostre radici. “Nonno, cosa guardi?” “Sto leggendo i segni dell’aria, vedi...” e il nonno a spiegare con parole facili ed eterne e il nipotino ad incantarsi dietro all’arancio delle nuvole e al vento che le fa muovere.
I due hanno lo stesso nome, frutto di rispetto e amore, ma tra loro ci sono ottant’anni di differenza d’età e il piccolo è, per il grande, il dono insperato, è la sua storia che continua in un tempo così diverso da dove è iniziata: l’anziano è un uomo che ha attraversato due guerre, la povertà, la fame, la prigionia, il ritorno, il riscatto sociale... è un uomo di fede semplice e solida, è un uomo che vive la speranza
dell’attesa col-mando di tenerezza il bambino affidatogli.
E l’attenzione dell’uno per l’altro non è legata solo all'esperienza dell’età ma ha un vincolo diverso che sfugge all’ordine delle cose e del tempo perché maturato nell’anima! Il bambino adesso ha ventun anni, certamente non ha dimenticato il nonno e le sue storie ma vive l’attesa della speranza, come tanti ragazzi che stentano a trovare una dimensione di pace in se stessi e una dimensione di relazione positiva in quello che fanno. Il passato, il futuro... non vivere appieno il presente è ciò che genera quel senso di instabilità e precarietà che tanto caratterizza il nostro mondo ed è “la” situazione creata da noi, la “generazione di mezzo”!
Quello che siamo viene da molto lontano, ha molto camminato, si è molto fermato, ha saltato, danzato, si è addormentato e si è trascinato stancamente pieno di dubbi.
Quello che siamo ci ha visto insieme negare ed accettare evidenze: ci siamo sentiti accolti, ma stiamo ancora inseguendo il nostro stile di accoglienza che, come ultima-mente ha sollecitato Papa Francesco, ci faccia lasciare il salotto per scendere in strada. “(...)ognuno deve sentirsi responsabile di tutto”... Certamente in un contesto diverso, don Milani lanciava una sfida difficile da accogliere e raccogliere perché tutto ciò che intacca e contamina la tranquillità dell’esistenza, è fastidioso.
E tanti tra noi si riconoscono tra quelli che, sia pure non senza malessere, si sono lasciati poco coinvolgere dalle “cose della chiesa”, presupponendo una mancanza di misericordia dall’“istituzione” più preposta ad essere misericordiosa, una mancanza di umiltà dall’“istituzione” più preposta ad essere umile, una mancanza di povertà dall’“istituzione” più preposta ad essere povera, ecc., ecc., ecc... dimenticando, in tutto questo pensare, di esserci!
Considerare la Chiesa solo come una istituzione non ha fatto andare all’essenza del suo cuore rappresentata dai tanti che in essa, discretamente, portavano frutti di misericordia, umiltà, povertà.
È stato, probabilmente, un senso di sana inquietudine ciò che ha messo in ricerca le nostre anime.
C’era tanto posto nella “Chiesa del grembiule” di Don Tonino Bello: la Chiesa (...) deve sentire il bisogno di valicare il tempo. Per tornare alla freschezza delle origini ...” Era il tempo della guerra in Bosnia, quando le coste dei mari pugliesi erano presidiate dalle forze armate, quando il nostro bambino ci chiedeva perché in televisione si vedevano scoppiare le bombe e tanti bambini piangevano, quando in tanti si sono mossi con don Tonino, ma in tanti hanno semplicemente criticato la sua maniera di essere “obbediente”, con coscienza e senza sovrastrutture di potere. Certamente don Tonino ha valicato il tempo della memoria rimanendo nel cuore con il suo esempio di coraggio perché assolutamente rispondente all’incarnazione di un presente che richiedeva audacia! Ma, ancora oggi, nei suoi confronti, si respira anche come un senso di vergogna per non aver capito la sua fede così sicura e, al tempo stesso, così laica. C’era tanto posto nella “Chiesa dell’Equipe Notre Dame”: un posto per due, dove far crescere in Cristo l’amore coniugale, dove intuire la consapevolezza del nostro cristianesimo, dove trovare la discrezione nell’essere dovunque, dove trovare una comunità realmente in cammino, dove non c’è una istituzione ma una rete di fratelli che sopporta e supporta, dove la quotidianità è il presente nel quale confrontarsi e crescere. Non è roba da poco perché purtroppo nessuno mai dirà a qualcun altro cosa fare e come fare... bisognerà “solo” farsi strumento di coerenza, coerenza a Cristo in un mondo dove il “noli me tangere”, invece, sembra avviluppare sempre più l’incoerenza del professarsi cristiani! Essere protagonisti del nostro presente è anche lasciarsi contaminare dalle storie che ci sfiorano, da quelle che mai ci sogneremmo
di accogliere, che non ci fanno dormire, che rimettono in discussione tutta la nostra esistenza di comodità. “Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli, capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina”(Lc 21,29-30)
Ciò che il nonno e il nipote facevano insieme, dunque, si ispirava ad un insegnamento , perso nella tradizione, della Parola. Leggere i “segni dell’aria”, oggi, non è facile, perché ad essere inquinata non è solo l’aria, lo è anche la nostra anima: abbiamo perso purezza e semplicità!
La speranza dell’attesa è l’attimo che eleva dalle cose per riconsiderarle con leggerezza ed armonia, è la forza della riconosciuta tenerezza di Dio, in ciò che siamo e in quello che facciamo. La speranza dell’attesa è confortarsi, non disperarsi, nell’attesa della speranza, è sapere che non basta vedere i segni dell’aria, bisogna guardarli nel profondo ed... esserci!
Abbiamo voluto raccontare un ricordo, o meglio, ci siamo serviti di un ricordo per parlare di quanto difficile sia essere quei cristiani, quella Chiesa differente che vede i frutti laddove, invece, ci sono ancora solo le gemme.