LETTERA 214 - LUGLIO-SETTEMBRE 2021
Editoriale:
Accoglienza: il luogo della coppia
Autore:
Stefania e Luca Simoni - Responsabili Regione Nord Ovest B
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Parole e immagini sono i segni attraverso i quali l’uomo elabora la propria rappresentazione di un’idea; capita spesso di crearci i nostri correlativi oggettivi per essere più vicini all’Alt(r)o e come non poteva essere per l’icona dell’accoglienza?
“ti apriamo la porta”
Prima ancora di iniziare la nostra vita di sposi abbiamo accolto il Signore aprendogli la porta delle nostre case. Nel lungo periodo del fidanzamento abbiamo apparecchiato la tavola come Abramo con cibi abbondanti e prelibati: vitello tenero, latte fresco e una gran quantità di focacce (Gen, 18). Con Abramo siamo stati in piedi, nel servizio, siamo stati all’ombra delle querce di Mamre a guardare l’Ospite tanto atteso che ha fatto il primo passo e ci è venuto a trovare, portatore di una promessa che neanche avremmo mai immaginato. Accoglienza “nell’ora più calda del giorno”, in un’ora dedita al riposo, del sentirsi già arrivati, in cui è più faticoso alzarsi e mettersi a servire.
Dal primo giorno del matrimonio è proseguita, cambiata, l’opera di accoglienza. Che non è semplicemente dare una mano. Significa, oltre aprire la porta, aprire il cuore e la mente e non soltanto ospitare. E’ Lui il vero motivo, il vero fondamento, il senso pieno dell’accoglienza che diventa concreto attraverso il nostro coniuge. Il sacramento del Matrimonio ci abilita, ci innalza e ci chiama a fare questo sforzo di ospitalità verso l’Alt(r)o, uno sforzo che “ci appartiene”, facendo spazio in noi e per Lui.
“Ecco ciò che conta in ultima analisi: lasciar entrare Dio. Ma lo si può lasciar entrare solo là dove ci si trova, e dove ci si trova realmente, dove si vive, e dove si vive una vita autentica. Se instauriamo un rapporto santo con il piccolo mondo che ci è affidato, se, nell’ambito della creazione con la quale viviamo, noi aiutiamo la santa essenza spirituale a giungere a compimento, allora prepariamo a Dio una dimora nel nostro luogo, allora lasciamo entrare Dio.” (M. Buber, Il Cammino dell’uomo).
“ti accolgo”
«Io accolgo te (ai nostri tempi “io prendo te”)», ci siamo detti, «come mio regalo e come mio cammino. Vivrò come mia anche la tua vita, i tuoi smarrimenti e la tua primavera, i morsi del tuo dolore e le carezze dei tuoi ritorni (…) Accogliere è fare spazio perché l’altro cresca.» (Ermes Ronchi da Avvenire del 16 novembre 2017)
Quel giorno ci siamo promessi di impegnarci in una relazione unica, insostituibile, indissolubile, gratuita. Ci siamo impegnati ad accogliere tutto l'altro, non una parte. Non quando tutto va bene, quando i rapporti sono distesi e gioiosi. Abbiamo promesso di sposare gli alti e i bassi, i momenti di slancio e i momenti di pausa, gli invecchiamenti e i rinnovamenti dell'altro.
«Nella logica della gratuità, l'elemento primario è la scelta di amarsi per sempre, riconoscendo l'uno nell'altro un valore originale e insostituibile. Tale scelta si fa strada, giorno per giorno, nell'imparare ad essere per l'altro, in una dinamica relazionale fatta di stima di dialogo, di progetti, di tensioni accettate e gestite insieme, di sessualità, di condivisione dell'intera esistenza. L'orientamento di ciascuno sta nel volere la felicità dell'altro a partire dalla sua libertà. La continuità nel tempo della scelta coniugale non è tanto l'ossequio ad un dovere morale o ad un contratto, quanto il rinnovarsi dell'amore per l'altro nel suo essere proprio così, ossia, in ultima istanza, nel suo mistero». (R Mancini, Esistenza e gratuità. Antropologia della condivisione).
L'amore si presenta come un cammino, va riaperto di nuovo ogni volta. L’accoglienza cresce e cambia volto ed è bello percorrerlo di nuovo, in modi diversi, con la disponibilità ad accettare che ogni tratto risulti diverso dal precedente e non può essere previsto e calcolato interamente in anticipo. Come ogni cammino, il viaggio della coppia richiede la fatica del procedere in avanti, del fare passi indietro, del conoscersi, del crescere, del ricominciare e del rinnovarsi continuamente.
Durante questo cammino è bello fermarsi alla locanda della fecondità, quando l’accoglienza di una nuova vita diventa dono di Dio e trova una nuova dimensione per esprimersi anche in forma non esclusivamente biologica. Così “la fecondità si allarga e si traduce in mille modi di rendere presente l’amore di Dio nella società” (Amoris laetitia, 184): con l’impegno, la testimonianza, con il servizio. È con questa accoglienza che “i coniugi cristiani dipingono il grigio dello spazio pubblico riempiendolo con i colori della fraternità, della sensibilità sociale, della difesa delle persone fragili, della fede luminosa, della speranza attiva”.
Gli ospiti della locanda, oltre a cambiare il loro modo di accogliere ed essere accolti, mutano anche il loro aspetto: “non gettarmi via nel tempo della vecchiaia” (Salmo 71), ma accoglimi anche quando le mie sembianze, citando il nostro CS don Luca, saranno più simili “a nostra sorella morte” che al volto giovane e fresco del primo giorno del nostro matrimonio: “non ignoro che l'amore, evolvendo, cambia volto. Non vi chiedo quindi di amarvi come a vent’anni ma con un amore ogni giorno più profondo.” (Padre Caffarel, Lettera Mensile, marzo 1952)
Trova posto anche la sofferenza nel luogo della coppia, la sofferenza che si trasfigura nella croce: l’accoglienza si fa attrazione delle braccia aperte del Cristo crocefisso, quell’uomo che “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi” (Is 53,2), eppure ci attira a Lui. Solo il Suo amore ci permette di accogliere anche i disegni a volte difficili da comprendere.
“mi squilibri”
Poi, però, lo squilibrio: icona dell’accoglienza nella sessione nazionale del settembre scorso, per le coppie responsabili di settore dal titolo “Ospitati, ospitando”. Un gran movimento di accoglienza, un tendere verso, un andare oltre in una direzione per noi nuova che non ha comportato un fare. Accogliere è diventato “vivere l’ospitalità come uno spazio dentro di noi, uno spazio aperto, oltre il nostro attendere, il nostro desiderare, il nostro volere” programmato, uno spazio vuoto, elastico, duttile.
“Se parliamo di un viaggio, e tutta la nostra vita è viaggio, bisogna sentire di avere dentro uno spazio non prepotente. Colui che si illude di possedere tutto, o di sapere tutto, non si mette in viaggio (…)
È questa coscienza del vuoto buono che accompagna il mio viaggio. L’accoglienza nasce da questa disponibilità a viaggiare nella vita con questo vuoto interiore.
La coscienza del vuoto è una consapevolezza buona, che consente di proseguire il cammino e di andare avanti, di scoprire la bellezza e la bontà delle cose che scorgi per la via, di trovare compagni di viaggio.
Dio ricomincia dal tuo vuoto. Ricomincia dalla tua umile casa, da una terra come la nostra, che può a volte sembrarci straniera, cioè estranea ai pensieri di Dio. Fa spazio in te alla Parola e cammina secondo la Parola di Dio che ti abita. La Parola di Dio, se tu l’accogli, fa di te, fa di me, fa di tutti noi degli uomini e delle donne che sconfinano. Sconfinano dai pensieri ristretti del mondo ai pensieri grandi di Dio”. (A. Casati da Umiltà, Incontro con don Angelo Casati - Edizioni Romena).