É un magnifico pomeriggio autunnale, gustiamo la bellezza del parco che ci ospita in un luogo che ha del sacro per la natura che ci circonda ed il silenzio che ci avvolge.
Tutto merita attenzione ma, incuriositi, ci soffermiamo in particolare davanti ad una piccola vasca di pesci rossi posta, quasi seminascosta, in un angolo (i pesci rossi ci sono particolarmente cari perché ci ricordano la nostra infanzia e l’infanzia dei nostri figli).
Siamo ammirati per come questi pesciolini si muovono con slancio, con inflessioni a pinne tese, come se fossero in un grande spazio.
In realtà sono prigionieri dentro quella vasca e
circondati da quella rete. Purtuttavia il loro muoversi così sinuoso ed elegante ci fa pensare che si siano portati dentro il respiro del mare, delle distese infinite, quasi avessero la memoria di quella libertà che è rimasta attaccata a loro, anzi, dentro di loro. Questo pensiero, al di fuori della metafora, ci rimanda a certe situazioni di vita che ben conosciamo.
Pensiamo a come in passato ci siamo trovati a dover affrontare circostanze in cui avvertivamo una sensazione di pesantezza, quasi di oppressione, tale da sentirci incapaci di uscire da quella gabbia in cui ci sentivamo come imprigionati.
Ma la nostra mente corre inevitabilmente anche alla situazione di amici costretti a vivere su una sedia a rotelle o comunque a condurre un’esistenza monotona o limitata.
O ancora di giovani destinati a dover trascorrere anni – parecchi anni! - in carcere per scontare una pena.
Negli incontri condivisi con queste persone ci siamo resi conto di come, molto spesso, essi siano stati capaci di farci sentire quanto il loro animo e il loro pensiero fossero in grado di andare oltre i limiti fisici o spaziali in cui erano destinati a vivere, trasmettendoci uno spirito carico di speranza e di luce.
Etty Hillesum, scrittrice olandese di origine ebraica vittima dell’Olocausto ad Auschwitz, ha scritto: “Ma cosa credete, che non veda il filo spinato, non veda i forni crematori, non veda il dominio della morte? Sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo e in questo spicchio di cielo che ho nel cuore vedo libertà e bellezza. Non ci credete? Invece è così!”.
Ecco, libertà e bellezza che nascono dal cuore…
Certamente in quest’ottica la parola “libertà” non ha più quel significato che le davamo quando, da adolescenti o giovani adulti, eravamo convinti che essere liberi, veramente liberi, volesse dire fare ciò che ci piaceva in termini di spazio, di tempo, di ideali da perseguire.
Il cammino individuale e di coppia compiuto negli anni, sia dal punto di vista umano ma soprattutto spirituale, ci ha fatto attribuire al termine “libertà” un significato molto diverso.
La lettura della parola di Dio ci ha permesso prima di tutto di percepire come “libertà” sia un termine centrale nella Bibbia.
“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Gal 5,1), “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32), “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), solo per fare alcune citazioni.
Meditando la Parola, è stato bello scoprire come l’amore che Cristo ci ha annunciato e testimoniato con la sua vita non era l’amore degli schiavi, bensì l’amore dei figli liberi, l’amore che scaturisce dalla libertà e conduce alla libertà.
Abbiamo così ripensato che, proprio nei momenti in cui, guardando a Cristo, siamo stati capaci di fare verità su noi stessi, è come se si fosse accesa una luce dentro e avessimo respirato aria pura, percependo la sensazione di rinascere e di vivere in modo pieno il senso della libertà.
Ecco il grande salto di qualità: l’essere passati da una concezione di libertà proiettata solo verso l’esterno ad un vivere la libertà come dimensione di spazio interiore.
Nel ripercorrere le tappe più significative della nostra vita, abbiamo proprio constatato che l’aver acquisito la consapevolezza che l’amore di Dio per noi, suoi figli, è un amore incondizionato perché Lui ci ama come siamo, con i nostri limiti e le nostre fragilità e pochezze, ci ha fatto percepire un concetto di libertà veramente … “liberante”.
“Dio vede in noi una bellezza che noi neanche immaginiamo” ci ha detto quest’estate a Fatima Padre Tolentino nella prima delle sue meditazioni mattutine.
È questo sentirci belli e amati oltre le nostre stesse aspettative che ci porta a vivere liberi dentro e quindi capaci di relazioni vere in cui non temiamo di mettere in gioco la nostra vita, anche rischiando di incorrere in delusioni e fallimenti.
Gandhi ha scritto: “Non nel seguire il sentiero battuto, ma nel trovare a tentoni la propria strada e seguirla coraggiosamente, consiste la vera libertà”.
Nei nostri quarant’anni di matrimonio ci siamo trovati a fare scelte importanti, a dire dei “si” consci che avrebbero potuto portare a limitare la nostra libertà, ma consapevoli del fatto che ne avremmo potuto avere in cambio una grande gioia, quella di sentirci liberi di accogliere e di aderire al progetto di Amore di Dio su di noi.
Aderire all’Amore è stato possibile mettendo da parte, se necessario, le nostre sicurezze e radicate certezze che a volte facevano confondere la libertà con il potere, svuotando così di umanità il rapporto tra noi due, con i nostri figli, con le persone che quotidianamente avevamo l’occasione di incontrare.
Aderire all’Amore ci ha permesso di predisporre il nostro animo alla fiducia, alla pace, al servizio gli uni per gli altri per camminare insieme.
Aderire all’Amore ci ha fatto vivere le relazioni come un dono, affinando la capacità di accogliere le scelte di libertà degli altri e sentire in noi il senso della libertà nel donarsi agli altri.
E quando emozioni, passioni, esigenze e desideri hanno influenzato o pregiudicato le nostre scelte non rendendoci completamente liberi, ci siamo affidati al Signore che vede le nostre vulnerabilità e non ci fa mancare il sostegno e la forza per continuare nel nostro cammino di vita.