LETTERA 184

LETTERA 184 LUGLIO - SETTEMBRE 2015

Editoriale:

IL CORAGGIO DELLA FECONDITA'

Autore:

Paola e Giovanni Cecchini Manara

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Editoriale

IL CORAGGIO DELLA FECONDITA'

La storia in cui siamo immersi in questi ultimi tempi ci pone nuovi e pressanti
interrogativi, domande che vanno in profondità nel nostro essere uomini e donne
coraggiosi, coerenti nel nostro tempo. Stiamo parlando della fatica quotidiana in un
mondo dove il lavoro non è stabile, a volte manca proprio, i giovani sono alla costante
ricerca di un cammino che abbia almeno in parte il sapore di un progetto, gli anziani
faticano a riconoscersi in ciò che i giornali e le televisioni ci raccontano.

Se ci guardiamo intorno, se ascoltiamo le notizie di cronaca o di quanto accade nella
società, una possibile e frequente reazione che possiamo avere è quella di chiuderci in
noi stessi, nella nostra famiglia, per proteggerci e cercare di ritrovare quell’equilibrio
che fuori dalla nostra casa sembra essere sempre più assente.

Per nostra fortuna questo senso di smarrimento e di non appartenenza non invade ogni
ambito della nostra vita, ma dobbiamo comunque fare i conti e affrontare quello che
c’è là fuori. Vediamo i giovani, magari i nostri ragazzi o i figli o nipoti di amici, che
iniziano il loro viaggio nella vita senza una via chiara e definita da percorrere, come
magari invece era capitato a noi. Ci accorgiamo che per poter trovare gli strumenti per
crescere, devono sempre più concentrarsi su quello che hanno e cogliere ogni
occasione, anche la più inattesa.

Se poi gettiamo lo sguardo un po’ più lontano, vediamo un mondo smarrito, con guerre
fratricide, lotte in nome di un credo che vuole prevaricare e sopprimere, enormi
interessi economici di pochi che senza scrupoli calpestano i molti pur di giungere a
ottenere quello che vogliono. Ancora una volta, ci proteggiamo cercando nella nostra
casa, nella nostra famiglia quelle certezze e quel calore che fuori ci pare non esistano
più.

Eppure…
Eppure in fondo al cuore abbiamo la memoria dell’esperienza folgorante dell’incontro,
incontro con l’altro, incontro semplice e disinteressato, incontro quotidiano. Se ci
fermiamo e non ci lasciamo sopraffare dal desiderio di chiudere la porta e di lasciare
fuori tutto quello che sentiamo non ci appartiene, se abbiamo il coraggio di uscire dal
nostro guscio e ci concediamo il tempo di guardare in viso le persone che incrociamo,
allora riscopriamo con un nuovo sguardo che le persone meritano di essere avvicinate,
meritano la nostra attenzione e la nostra cura, anzi la richiedono.

Soprattutto uscire da quel nostro luogo protetto non ci permette di dimenticare che il
nostro stile di vita e il nostro modo di comportarci ci possono rendere “sterili”
all’amore di Dio, che l'individualismo ci allontana dal Signore.

Noi non siamo fecondi quando ci lasciamo prendere dalla tristezza e dallo sconforto e,
scoraggiati, ci abbattiamo di fronte alle difficoltà, allorché la difesa del nostro
benessere e del nostro interesse prevale a scapito dell’altro.

Di cosa ci preoccupiamo? Proprio in questi tempi che possono sembrare così difficili
e pieni di incertezza siamo chiamati ancora di più a fidarci di quanto è venuto a dirci
Gesù, in mille modi e maniere, cioè che non dobbiamo preoccuparci perché… se il

Signore veste in maniera meravigliosa i gigli del campo e dà loro quanto gli occorre, a
maggior ragione non provvederà forse a noi?

Nella fecondità spirituale che Gesù ci ha insegnato, quella fecondità che è dono
d’amore, gratuità, slancio, incontro e salvezza offerta, usciamo allora, apriamo le nostre
porte, andiamo nel mondo, nel quartiere, nella parrocchia, a scuola, al lavoro e
portiamo la serenità e la gioia che ci vengono dall’incontro con Cristo!

Leggiamo nell’Evangelii Gaudium (279): «Questa certezza è quello che si chiama
“senso del mistero”. È sapere con certezza che chi si offre e si dona a Dio per amore,
sicuramente sarà fecondo (cfr Gv 15,5). Tale fecondità molte volte è invisibile,
inafferrabile, non può essere contabilizzata. Uno è ben consapevole che la sua vita darà
frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha la sicurezza che
non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna delle
sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio,
non va perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza.
Tutto ciò circola attraverso il mondo come una forza di vita.»

Se ci pensiamo bene, è un po’ quello che accade alla coppia di sposi che, senza sapere
bene cosa li aspetta, cercano di dare frutti al loro amore con i figli. Essere fecondi è un
atto di dono, è spostare il punto focale della propria esistenza da sé, dal “me” e dal
“noi”, per mettere al centro delle proprie attenzioni e delle proprie fatiche l’altro. Dal
momento in cui concepiamo un figlio, io e te passiamo in secondo piano e tutto quello
che faccio io, che fai tu, che facciamo insieme ha come fine ultimo il bene del figlio.
Non sappiamo come sarà nostro figlio, quali strade percorrerà la sua vita, cosa gli
piacerà o in cosa si impegnerà. Quello che sappiamo per certo è che noi ci mettiamo al
suo servizio, cerchiamo di offrire il nostro agire, il nostro cuore, il nostro pensare e il
nostro faticare perché diano a lui tutte le possibilità di realizzarsi. «Alla sorgente della
vita c’è Dio che è il Dio della vita. Ogni uomo, ogni coppia sarà a sua immagine se
susciterà vita. La fecondità umana è invitata a diventare un’immagine dell’inesauribile
vita di Dio» (Don Gaetano de Fino, “L’apertura alla Vita”, relazione a Corso
Prematrimoniale). Gesù ce lo dice chiaramente: “In questo è glorificato il Padre mio:
che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli” (Gv 15,8).

E ancora, prima di essere fecondi nei figli, nella Genesi, Adamo ed Eva sono chiamati
ciascuno a realizzare in pienezza la vita dell’altro, a donarsi perché l’altro possa
realizzarsi. È Dio stesso che lo chiede loro, perché solo in questo modo può trovare
compimento l’azione creatrice di Dio.

Una azione creatrice che nella fecondità chiama in gioco la natura creativa e
immaginifica dell’uomo. Dove sarebbe l’uomo senza quella fecondità di pensiero così
capace di andare oltre il conosciuto, di esplorare al di là dei limiti, per superarli. Siamo
sulla soglia di una realtà in cui la forza creativa dell’uomo sembra superare la realtà,
ma che nello stesso tempo sembra aver perso il significato originario di questo grande
dono d’amore misericordioso che è la fecondità.

Dio ci ha dato una consegna importante, la consegna che è all’origine della creazione
perché ci ha chiesto di fare cose grandi, di dare continuità alla sua opera. Ma ci ha
anche chiesto di essere custodi attenti e generosi del creato e uomini e donne capaci di
slancio verso gli altri.

Ogni gesto fecondo nasce sempre da un dono gratuito, da Dio che ci ha amati per primo
e dall'esempio di tante persone che ci hanno aiutati a crescere nella fede.

E chi meglio di Maria può esserci d’esempio? Maria che ha detto un sì incondizionato
e si è messa docilmente al servizio dello Spirito, che ha operato e sostenuto il figlio,
con tutte quelle azioni difficili da comprendere, nel suo cammino verso la croce, senza
mai cedere alla disperazione, ma affidandosi e credendo anche contro ogni evidenza
umana nella promessa che le era stata fatta dall’Angelo del Signore.

Non è forse lo stesso per noi? Anche noi vediamo intorno a noi cose che non
comprendiamo, vediamo la sofferenza, la cattiveria, l’egoismo, la prepotenza.
Vediamo la morte nelle guerre vicine e lontane. Vediamo l’egoismo di tenere per sé
quello che abbiamo nel non volere condividere con chi ha meno di noi, chi fugge da
paesi dove la parola speranza sembra essere stata eliminata dal vocabolario. Siamo
chiamati a percorrere strade che non pensavamo, ci eravamo preparati ad andare di qua,
e la vita ci porta invece di là. Non è forse necessario affidarsi, come ha fatto Maria,
confidando che la promessa di salvezza che Dio ci ha fatto verrà sicuramente
mantenuta?

Scopriremo che se pensiamo prima a chi incontriamo, al nostro coniuge, ai figli, ai
genitori, al vicino di casa, all’immigrato, al collega di lavoro, allora la nostra vita
acquisirà un senso più vero e la fecondità non sarà solo una parola ma uno stile che
passa attraverso il dono oblativo di sé. Avremo allora la capacità di creare una realtà di
Chiesa che lì dove siamo si arricchisce di relazioni autentiche e nella quale sentirci
capaci di riflettere il volto misericordioso di Dio, quel volto che tanto il Papa ci sollecita
a scoprire, un volto che ci parla di accoglienza incondizionata, un volto «colmo di gioia,
soprattutto quando perdona» (Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di Indizione
del Giubileo Straordinario della Misericordia, 2015, 9).

Come ci dice ancora Papa Francesco: «Siamo chiamati a vivere di misericordia, perché
a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione
più evidente dell’amore misericordioso. [...] Dall’altra parte, è triste dover vedere come
l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. […] Senza
la testimonianza del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come
se si vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi
carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci
carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che
risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza»
(Ibidem, 9-10).

Ci sembra allora che sia sempre lo stesso il filo conduttore che fin dal primo giorno
della creazione giunge fino a noi, attraversa il nostro essere spesso incapaci di
comprendere quello che accade fuori dalla porta della nostra casa, il non riuscire a
cogliere con pienezza la nostra eredità. Questo filo conduttore è l’invito che ci ha dato
Gesù: “Amatevi come io ho amato voi”. Questa è la missione che Gesù ci ha lasciato,
quella che risponde allo stesso imperativo di Dio nel giardino dell’Eden, il compito
necessario per la realizzazione del progetto che Dio ha su di noi. Per poter dare frutto,
per essere fecondi e riempire il mondo dell’amore di Dio, non possiamo fare altro che
spenderci per gli altri, non c’è altra via che uscire dalle nostre case e farci testimoni
autentici di speranza.

    Senza paura, con coraggio.

                                                         Paola e Giovanni Cecchini Manara
                                                   Coppia Responsabile Regione Nord Est B