RICOMINCIARE, CON UN ALTRO SGUARDO

Non sappiamo. È l’incertezza la cifra di questo tempo di sospensione che il nostro Paese, come tanti altri nel mondo, sta attraversando. Abbiamo di fronte un avversario sfuggente, un virus appena identificato, di cui conosciamo poco o nulla. [. . .]
Quest’esperienza ci sta cambiando in profondità, come singoli e come società, e per questo sarà diversa la normalità che ricominceremo a costruire: quella di prima la troveremmo ormai inadeguata. [. . .]
In questo tempo si sta seminando un cambiamento: vale quindi la pena usarlo per cominciare ad assumere più consapevolmente uno sguardo diverso, definire nuove priorità e scegliere la direzione in cui dirigerci nel momento in cui sarà possibile ripartire. [. . .]
Cambiare sguardo significa innanzi tutto rinunciare a ricondurre l’ignoto al noto, ad avere per tutto una spiegazione comoda, accettando invece di lasciarsi stupire e mettere in crisi. [. . .]
Quanto credevamo solido si rivela invece friabile o liquido; di qui la sensazione che ci manchi la terra sotto i piedi, la nostalgia per ciò che ci dava sicurezza e il tentativo disperato di far tornare tutto come prima, provando a occultare i problemi. [. . .]
L’esperienza della sospensione della quotidianità ordinaria che stiamo vivendo si rivela da questo punto di vista ricca di stimoli. In questa crisi, come in ogni altra, è il futuro che ci viene incontro nella forma dell’esigenza del cambiamento. [. . .]
L’esperienza di mettere a fuoco qualcosa di nuovo, che possa aprire a un futuro diverso, è diffusa in questi giorni, . . . Senza pretesa di originalità ne registriamo qui alcune da non dimenticare. [. . .]
Una prima traccia da non disperdere è l’esperienza di essere tutti sulla stessa barca: un virus non guarda in faccia a nessuno e non tiene conto di differenze, disuguaglianze e frontiere. Ci ammaliamo tutti: i cittadini comuni come i politici, le stelle dello sport e del mondo dello spettacolo. Di fronte alla pandemia di COVID-19 riscopriamo l’unità della famiglia umana, a livello del legame tra i singoli come tra le nazioni: nessuno può pensare di cavarsela da solo, isolandosi, e servono risposte coordinate. [. . .]
Un ulteriore stimolo è l’esperienza della fragilità umana: per quanti sforzi facciamo, non siamo mai padroni del nostro destino. [. . .]
Di fronte a questa fragilità riscopriamo anche la qualità etica del legame che ci unisce: il rischio del contagio rende evidente come la vita di ciascuno sia affidata alla responsabilità degli altri, ad esempio nel conformarsi alle indicazioni sui comportamenti prudenziali da adottare. Anche nei gesti più quotidiani, come lavarsi le mani, è in gioco qualcosa del destino della famiglia umana: non è una novità assoluta, visto che si può dire lo stesso in molti altri casi (pensiamo ad esempio alla sicurezza stradale). Ma con la pandemia di COVID-19 scopriamo che persino ciò che separa, come le diverse forme di barriere di contenimento, anziché dividere e isolare, diventa strumento di relazione, di cura e di responsabilità. Questo legame non si esaurisce nei rapporti “faccia a faccia”, ma si sostanzia in strutture e istituzioni che intermediano la relazione tra i membri di una società sempre più complessa. Oggi è il caso del sistema sanitario: la salute e la sicurezza di tutti dipendono da quello che è un bene comune nel senso più pieno. Perciò l’esercizio della responsabilità nei confronti dell’altro incorpora la cura per i beni comuni che proteggono la vita di tutti [. . .]
Proprio all’interno del sistema sanitario riemerge in questi giorni il valore di una risorsa su cui scopriamo di poter contare: la professionalità dei suoi operatori, che li porta a svolgere il proprio compito con una dedizione che va al di là di qualunque dispositivo contrattuale. Testimoniano così che il lavoro è innanzi tutto un ambito di espressione di senso e di valori, e non solo la “merce” che viene scambiata con la remunerazione. Rivalutare la concezione condivisa del lavoro, che è alla base anche delle politiche che lo riguardano, non potrà non fare parte del nuovo sguardo che siamo tutti invitati ad assumere. [. . .]
Infine l’emergenza COVID-19 riporta sotto i nostri occhi la centralità della politica nella sua funzione originaria di autorità che si prende cura di ciò che non può essere affidato ad altre istanze sociali e che a questo scopo utilizza il potere. Questa funzione non può essere surrogata da meccanismi di autoregolazione impersonale, come le leggi del mercato, né dalla buona volontà dei singoli. [. . .]
I fasci di luce per orientarsi non mancano, pur nella consapevolezza dei limiti di ogni proposta. [. . .]
. . . ciò che determina i comportamenti e le scelte, delle persone come dei gruppi sociali e di intere società, non è soltanto ciò che sappiamo, ma piuttosto un atteggiamento condiviso di fedeNon utilizziamo per il momento il termine “fede” in senso espressamente religioso o confessionale. Facciamo piuttosto riferimento a quell’atteggiamento di fiducia fondamentale nei confronti della vita che consente alle persone di fare un passo in avanti, di impegnarsi, di mettersi in gioco, accogliendo l’incapacità di spiegare e dominare tutto, senza occultare conflitti e contraddizioni, né celare il mistero radicale dell’esistenza e l’orizzonte della sofferenza e della morte. È sulla base di questa fiducia, ad esempio, che le persone decidono di formare una famiglia o di mettere al mondo un figlio. [. . .]
Questa fiducia fondamentale, che non nega incertezza, insicurezza e non senso, ma permette di assumerne il rischio e quindi di (ri)mettersi in movimento, interpella la fede in senso confessionale e quanti la professano, a partire da noi cristiani. Sarebbe contraddittorio se non fossimo i primi a nutrire quella fiducia, a riconoscerne i segni, interpretarli e approfondirli, mettendo a disposizione della società di cui facciamo parte il nostro patrimonio: la tradizione della Chiesa, a partire dalle Scritture, e l’esperienza di formare una comunità che è tanto locale quanto globale. Si tratta senza dubbio di un contributo pluriforme: sono tanti i modi in cui i cristiani vivono la loro fede in questo tempo. [. . .]
Fa parte del contributo dei cristiani anche la preghiera, pure nella sua forma intima, personale (ma non per questo individualistica) e famigliare, di cui questa fase di sospensione delle celebrazioni pubbliche può aiutare a riscoprire il valore. [. . .]
Una preghiera più intensa diventa allora la base per trovare il modo di adattare il proprio stile di vita alle attuali circostanze e continuare a praticare la prossimità anche all’interno dei limiti ai contatti sociali che una prudenza responsabile esige di adottare. 
E in futuro alimenterà uno sguardo rinnovato sul mondo, ad esempio sulle contraddizioni da cui convertirci in materia di modelli di sviluppo e concezioni dell’economia troppo anguste e tecnocratiche, che alimentano disuguaglianze, esclusioni e il saccheggio della natura, mettendo a repentaglio la vita di tutti. [. . .]
A partire dalla fede, c’è un ultimo dono che i cristiani possono offrire – ma mai pensare di imporre – alla società di cui fanno parte: è la speranza, intesa come possibilità di un nuovo inizio, che in fondo è il nucleo stesso dell’annuncio pasquale. [. . .]

Dall'editoriale di Giacomo Costa SJ "Ricominciare, con un altro sguardo" del fascicolo di aprile 2020 di Aggiornamenti Sociali © FCSF




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