MEDITERRANEO, L'ALTERNATIVA ALLA PACE E' IL CAOS.
Il cardinale Bassetti promuove la cultura dell’incontro.
L'intervento, di cui riportiamo alcuni stralci, è stato pronunciato dal cardinale Bassetti, presidente della Cei, in occasione dell'apertura dei lavori dell'evento "Mediterraneo, frontiera di pace" organizzato a Bari dalla Cei stessa. È la prima volta che i pastori dell’intero bacino si ritrovano insieme. Il 23 è previsto l'arrivo di papa Francesco.
[. . .] La peculiarità di questo ritrovarci non in un convegno culturale, né per una conferenza è quella di esprimere il nostro modo più autentico di vivere ed essere Chiesa, che dà voce alle difficoltà e alle domande dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, in un momento che per tanti di loro è davvero drammatico. Si tratta di un incontro fraterno, tappa di un percorso più ampio; un’iniziativa che ci chiama ad accogliere quanto lo Spirito Santo saprà suscitare in un confronto e in una discussione che, ne siamo certi, avverrà con franchezza. [. . .]
[. . .] Ho avuto l’opportunità di viaggiare molto negli ultimi mesi e di toccare alcune nazioni del Mediterraneo: quanta sofferenza, quanta ingiustizia, quanta indifferenza. Questo è il contesto nel quale siamo chiamati a vivere la nostra comune vocazione per una cultura dell’incontro e della pace nel Mediterraneo. Tale vocazione non può essere destinata a rimanere un semplice buon proposito, ma è l’unica possibilità realistica di benessere e prosperità dei nostri popoli, l’unica via che ne può assicurare la sopravvivenza. È la guerra a essere una tremenda anti-utopia, una tragica farsa sulla pelle dei poveri: nella complessità delle relazioni internazionali, infatti, la competizione fra le diverse potenze non può essere decisa con la forza delle armi, pena la distruzione del pianeta. Nell’era dei droni e delle bombe nucleari, nell’era in cui per la prima volta siamo costretti a fare i conti con il fatto che le risorse della terra non sono infinite e in quella in cui la scienza e la tecnologia hanno connesso il mondo, mettendo l’uomo in condizione di distruggere o salvare il pianeta, non c’è alternativa alla risoluzione pacifica delle controversie e alla collaborazione.
Soprattutto nel bacino Mediterraneo, dove convergono le tensioni e le contrapposizioni del mondo intero, l’alternativa alla pace è il rischio di un caos incontrollato. Gli scontri terroristici e militari procurano morte e sofferenze indicibili alle popolazioni inermi; la comunità internazionale e le organizzazioni sovranazionali gestiscono a fatica le crisi umanitarie che ne derivano, tollerando spesso violazioni ai diritti umani.[. . .]
[. . .] Il muro che divide i popoli è soprattutto un muro economico e di interessi. C’è una frontiera invisibile nel Mediterraneo che separa i popoli della miseria da quelli del benessere, e non conta se al di qua e al di là di questa frontiera ci sono minoranze ricchissime e crescenti impoverimenti. È stata tradita la promessa di sviluppo dei popoli usciti dagli iniqui sistemi coloniali del secolo scorso, mentre sono ridotte le capacità degli Stati più ricchi di condurre politiche sociali inclusive. C’è un nesso inscindibile fra la povertà e l’instabilità: non potrà esserci pace senza miglioramento di vita nelle aree depresse del Mediterraneo e nell’Africa sub-sahariana, non potrà esserci sviluppo sostenibile senza che cambino le regole che sottostanno ad una economia dell’iniquità che uccide. Non potrà esserci arresto delle crisi migratorie e umanitarie senza che sia restituito a ogni uomo e a ogni donna, cittadini del mondo, il diritto di restare nella propria patria a costruire un futuro migliore per sé e per la propria famiglia, e senza che a questo diritto sia affiancato anche quello di spostarsi. «Liberi di partire, liberi di restare» è la linea che, come Conferenza episcopale italiana, ci siamo dati nella nostra azione solidale nei confronti dei popoli impoveriti. [. . .]
[. . .] spero che questo nostro ritrovarci sia l’avvio di un processo che ci consenta di condividere e offrire ai nostri popoli una visione non frammentaria, ma complessiva e organica dei problemi e delle ricchezze del Mediterraneo, necessaria per superare le crisi che stiamo vivendo. Noi vescovi, ad esempio, non possiamo vedere la questione dei migranti in maniera settorializzata, come se fosse solo un problema di “esodi” che impoveriscono i territori o di “arrivi” che li destabilizzano: il povero, che parte o che decide di restare, che arriva e che troppo spesso muore durante il viaggio o conosce sofferenze e ingiustizie indicibili, è Cristo che emigra, resta, soffre, bussa alle nostre porte. I problemi, con cui ci misuriamo, costituiscono uno stimolo ulteriore a superare, noi per primi, le barriere che attraversano il Mediterraneo e a intensificare l’incontro e la comunione fra di noi. Ne avvertiamo la responsabilità e l’urgenza, convinti come siamo che la tessitura di relazioni fraterne è condizione per partecipare al processo d’integrazione. [. . .]