L'ABBRACCIO MULTIETNICO DEI BAMBINI ILLUMINA IL PALAZZO DI VIA SANTA CROCE

La festa di Natale nel condominio occupato di Roma con il direttore della Fondazione Migrantes, don Gianni De Robertis: «Vedete il Presepe? Per Gesù non c’era posto, come per voi»

Nel grande atrio del palazzo c’è un albero di Natale con tante luci colorate. Accanto un Presepe non meno illuminato. Come in tanti palazzi romani. Ma questo è il famoso palazzo occupato di via di Santa Croce, quello dove vivono più di quattrocento persone, italiani e immigrati, e dove a maggio il cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere di papa Francesco, venne a riattaccare la luce che era stata staccata per morosità.

Qui la Sacra Famiglia è africana, con abiti colorati, il Bambino ancora coperto da un piccolo telo bianco e tutto è circondato da un tessuto boliviano. Mentre ai piedi dell’albero ci sono gli auguri in italiano, francese, inglese, ucraino, curdo, arabo, spagnolo. Auguri multietnici come le decine di bambini che corrono, giocano, strillano, osservati dalle mamme, alcune delle quali hanno i più piccoli amorevolmente stretti sulle spalle. Bimbi multietnici, multicolori ma le loro voci sono tutte in italiano. In 'romanesco'. Tra loro un signore in clergyman, collettino slacciato, gioca e scherza. Con un fazzoletto realizza un topolino, con un trucco lo fa correre sul braccio e bambini ridono di gusto, stupiti, chiedono 'ancora!'.

Poi invita i piccoli a cantare con lui accompagnando le parole con gesti rappresentativi. Canto natalizio, una filastrocca presente anche nella tradizione ebraica e musulmana. «Uno, uno, bambino nella culla, la Luna e il Sol, chi ha creato il mondo è stato il Signor! chi ha creato il mondo è stato il Signor! Due, due, l’asino e il bue, bambino nella culla, la Luna e il Sol chi ha creato il mondo è stato il Signor! chi ha creato il mondo è stato il Signor!».

I bambini, divertiti, ripetono parole e gesti, in cerchio attorno al sacerdote. È don Gianni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, organismo della Conferenza episcopale italiana. Non è la prima volta che incontra la comunità del 'palazzo', invitato da Adriana Domenici, consacrata laica, da sei anni volontaria tra queste persone. Con lui questa volta c’è anche don Tonino Panfili, vicario episcopale per la Vita consacrata della Diocesi di Roma. Vuole capire, conoscere, si informa, chiede, ascolta. Gli fanno visitare i laboratori artigianali, anche di icone e di webgrafica. Un incontro di festa, gioia, riflessione e preghiera. Molto allegro, sereno, semplice, normale. Ecco l’ultimo bimbo arrivato, appena tre mesi, mamma eritrea, papà italiano. Vive qui coi cinque fratelli. Il maggiore, Albertino, 15 anni, canta alcuni brani rap assieme agli amici di tante nazionalità diverse. «Siamo tutti uniti, Santa Croce non si arrende, la luce si riaccende».

Il riferimento è chiaro, ma il ragazzino, in un italiano perfetto, con cadenze romane, mi spiega che «è la parte che mi piace di più perché ci rappresenta. Solo se siamo insieme ce la faremo». Diversi eppure insieme. Don Gianni spiega tutto questo con una frase in barese stretto (la sua origine) e i bambini capiscono. Una diversità che si fa nostalgia nel canto di Abdurrahma, profugo curdo cieco che suona il tamur, strumento a sette corde della sua terra. Due fratelli sono stati uccisi dai turchi in carcere. Lui è stato arrestato sei volte perché suonava e cantava le canzoni curde.

Come quelle di questa sera. Un canto di amore per la propria terra, per la sua mancanza. Mentre la sorella Cachide balla assieme ad altre donne italiane e straniere. E don Tonino sorregge il microfono. Canti, balli, nostalgia struggente per la propria casa lontana. Proprio da qui parte la riflessione di don Gianni, sempre rivolto ai piccoli romani multicolori. «Vedete quella grotta? – dice indicando il Presepe –. Ci sono una mamma e un papà. Perché sono in una stalla e mettono il bambino in una mangiatoia? Perché non c’era posto per loro, come per voi. Ma noi vi vogliamo bene – assicura guardando i bambini e le loro mamme –. Siamo tutti uniti ». Poi ringrazia l’impegno e l’amore di Adriana. I bimbi l’abbracciano. «Ti vogliamo bene, tanto bene!».

A una bambina africana don Gianni ripete: «Sai che siamo tutti una stessa famiglia? ». E come per tante famiglie, Natale è anche preghiera «che vuol dire fratellanza», è la riflessione di Adriana. Mohamed, marocchino, legge la sura del Corano che, mi spiega, «parla di Maria, della nascita di Gesù. Pochi in Italia – riflette un po’ amaramente – sanno che nel Corano ci sono Gesù, Maria, Mosè, i profeti». E chissà quanti, in questi mesi, hanno ricordato il brano del Vangelo di Luca che legge don Gianni. «Mentre si trovavano a Betlemme, giunse per Maria il tempo di partorire, ed essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché non avevano trovato altro posto ». E il sacerdote spiega. «Dio condivide la nostra vita. È facile venire qui, stare con voi e poi tornare a casa. Dio invece vuole essere con noi sempre, condividere. Vedere qui tante persone di diverse nazionalità, tutti insieme è un insegnamento, dobbiamo aiutarci e non farci del male». Poi l’invito. «Terminiamo con un abbraccio dicendoci pace, salam, shalom».

I mille colori del palazzo si mischiano in un grande abbraccio di fratellanza e di pace. Suggellato da fette di italianissimi panettone e pandoro. E la luce chi la paga, qualcuno dirà. Le famiglie sono pronte a pagare, ma vogliono sapere come. Non confondere abitazioni e attività commerciali. Ma oggi è il giorno della luce del Natale, la luce di Betlemme, per loro e per chi li ha voluti abbracciare.




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