LA STRAORDINARIETA‘ NELL’ORDINARIETA’
Nel leggere il sacrificio delle vite degli operatori sanitari ai tempi del covid-19, non è difficile ripensare a una storia di paradigmatica bellezza come quella di san Giuseppe Moscati (1880-1927), che più di ogni altro seppe interpretare in modo straordinario la sua vita ordinaria.
La straordinarietà dell’esperienza moscatiana si rende manifesta nell’esercizio della libertà che spinge il medico napoletano a corrispondere pienamente, fin da ragazzo, a ciò che chiamiamo “vocazione”.
. . . il famoso cappello posto nel suo studio con la scritta: «Chi ha metta, chi non ha prenda» (come si può osservare nella ricostruzione delle sue stanze presso la Chiesa del Gesù Nuovo di Napoli). Esso ci offre la misura di come Moscati interpretasse in chiave moderna il suo essere, in senso evangelico, medico anargiro, ossia gratuito: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8).
Povertà e sofferenza sono, dunque, le priorità quotidiane del santo medico alle quali si sente chiamato dall’attenzione per gli ultimi la cui origine può essere una sola: la carità evangelica.
L’attività medica moscatiana è, pertanto, sostenuta non dalla sola scienza, dalla sua scrupolosa conoscenza scientifica, ma anche dalla carità divina. Questo singolare connubio tra scienza e fede è un altro dato di straordinarietà nella vita quotidiana dello scienziato: allarga il suo orizzonte terapeutico, accordandogli la percezione di non limitare le sue indicazioni mediche al solo corpo, ma di prendersi cura anche dell’anima . . .
Questo modo di procedere di Giuseppe Moscati è testimoniato dall’originale prescrizione dei sacramenti presente spesso nelle ricette insieme ai farmaci [cfr. foto]. In particolare, egli prescrive la confessione e l’Eucaristia, avvertiti dal santo come potenti strumenti terapeutici che, operando nell’anima, guariscono anche il corpo.
un altro aspetto straordinario nella quotidianità della vita di san Giuseppe Moscati: la sua vita eucaristica. Il dono quotidiano dell’Eucaristia lo nutre e lo sostiene affinché egli stesso sia dono per i suoi malati, incarnazione della grazia divina che lo porta a consumarsi totalmente per dare sempre più forma alla Carità. Vita eucaristica che non esita di donare tutto sé stesso, neanche di fronte al rischio della propria vita, pur di salvare malati presenti all’interno di una struttura pericolante dopo l’eruzione del Vesuvio. La struttura crollerà appena dopo della sua uscita con l’ultimo malato.
Mi piace credere che san Giuseppe Moscati, in questo tempo di pandemia, abbia continuato ad operare stando accanto ad ogni malato e ispirando sacerdoti ed operatori sanitari nella dedizione caritatevole verso il prossimo, ossia attraverso il dono, non comune ed eccezionale, di sé anche a rischio della propria vita.